Contributo per una storia culturale e sociale della violenza politica

“Piombo con piombo”: il 1921 e la guerra civile italiana, a cura di G. Sacchetti, introduzione di F. Fabbri, Carocci 2023, pp. 440, euro 42,00

Nel periodo tra la Prima guerra mondiale e l’avvento del fascismo in Italia si colloca un tournant di grande interesse. In tale ambito, il tentativo di lettura che il corposo tomo propone – prendendo le mosse dalla ricorrenza centenaria dei fatti del 1921, ampiamente ricostruiti dalle fonti di letteratura – si contraddistingue per l’utilizzo simultaneo di differenziate scale spaziotemporali insieme ad una visuale di lungo periodo. In quell’anno, in un arco ristrettissimo e in un contesto di gravi tensioni sociali e politiche, si addensavano reiterate violenze fasciste, spesso colluse con gli apparati dello Stato, attentati terroristici, risposte di difesa proletaria armata da parte del movimento operaio e sindacale. Anno dello squadrismo dispiegato, dell’attentato al teatro Diana, delle insorgenze operaie, degli Arditi del popolo…, il 1921 è qui analizzato sotto i prismi della violenza e della guerra civile. Ed emerge evidente il contrasto tra una violenza intesa e attuata come programma politico, e la violenza forma di difesa sociale.

L’opera, a cui hanno collaborato una trentina di studiosi, frutto di due convegni scientifici, è strutturata in quattro parti: I) Temi / questioni di metodo; II) Territori / casi di studio (Milano, l’Emilia, la Toscana, Roma…); III) Rappresentare il 1921 (public history, memorie e altre narrazioni); IV) Interpretare il 1921 / Guerra civile e violenza politica (il dibattito storiografico). Molti i capitoli dedicati specificatamente agli anarchici, come ad es. Insorgere. Anarchismo e violenza: un problema storiografico (pp. 49-82), che – snodandosi fra Otto e Novecento – si articola nei seguenti paragrafi a tema: a) Per una storia culturale della violenza politica. Prodromi, lasciti, persistenze. b) Una “libera unione di combattenti”: dalla Prima internazionale alle bombe al Diana. c) Vim vi repellere! Guerre civili e traiettorie transnazionali. d) L’eredità insurrezionalista: anarchici e lottarmatismo.

Scriveva in proposito George Woodcock (L’Anarchia, 1971, p. 11):

“A guardar bene, l’accettazione della violenza da parte degli anarchici fu dovuta in gran parte alla fedeltà a tradizioni di violenta azione popolare in nome della libertà, che essi condividevano con altri movimenti e gruppi del loro tempo, come i giacobini, i marxisti, i blanquisti, i mazziniani, i garibaldini. Col tempo, e in particolare via via che impallidiva il ricordo della Comune del 1871, la tradizione si circonfuse di un’aura romantica, e divenne parte di un mito rivoluzionario che in molti paesi aveva ben pochi rapporti con la pratica attuale. V’erano, certo, situazioni particolari, specialmente in Spagna, in Italia e in Russia, paesi dove la violenza era da molto tempo endemica nella vita politica e dove gli anarchici, come gli altri gruppi politici, accettavano il ricorso all’insurrezione armata quasi come routine; ma fra le celebrità della storia anarchica gli eroi dell’azione violenta sono in netta minoranza numerica rispetto ai paladini della parola. Certo, fra i personaggi di quella storia ci sono anche gli angeli neri dell’anarchia, gli assassini del terrorismo.”

Per meglio analizzare il nesso profondo creatosi tra prassi anarchica e propensione all’azione violenta, manifestatosi in modo ricorrente nel corso dei secoli XIX e XX, diventa necessaria l’attenzione ai contesti, insieme alla disamina sincronica delle contaminazioni culturali. In tal senso si individuano almeno tre fasi cruciali e durature nelle quali l’anarchismo ha convissuto in simbiosi con altri macro-movimenti a carattere epocale e a prassi insurrezionale.

  • La prima è rappresentata dalla sinistra risorgimentale italiana, crogiolo e laboratorio ideologico all’interno del quale si innestava il processo di incubazione e prefigurazione del filone anarchico in perfetta contiguità e commistione con le culture politiche ottocentesche di matrice pisacaniana, socialista-libertaria, federalista, bakuninista, repubblicano-sociale.
  • La seconda fase è quella dell’antifascismo insurrezionalista nel periodo tra le due guerre mondiali, quando l’esilio si confermava “antica istituzione del nostro paese”. C’era nella sinistra non comunista, tra famiglie politiche apparentemente distanti, una strategia concordata unitaria di lotta che, nell’Europa degli esiliati, avrebbe coinvolto anarchici, giellisti, repubblicani, sindacalisti rivoluzionari, liberalsocialisti, dissidenze di sinistra; e che – mentori Gaetano Salvemini e Camillo Berneri – si sarebbe riverberata in due esperienze armate di enorme rilievo, inizio e fine di un ciclo turbolento: gli Arditi del popolo nell’Italia del 1921, la guerra di Spagna nel 1936-‘39.
  • Infine, consideriamo la cosiddetta galassia extraparlamentare, ovvero l’area della sinistra rivoluzionaria italiana ed europea per tutto l’arco temporale del lungo Sessantotto, nei decenni Sessanta-Settanta e oltre. A seguire, la stagione dei movimenti antagonisti e no-global, nel cui ambito il neo-anarchismo trovava, sebbene in forma di epifenomeno, anche declinazioni armate, come nel caso del gruppo Azione rivoluzionaria o dell’anarcoinsurrezionalismo quale fenomeno tardo-novecentesco.

È indubbio, come suggerisce Fabio Fabbri nel suo saggio introduttivo e come ci dimostrano i risultati complessivi di questa ricerca a più mani, che la categoria di “guerra civile”, “qualunque posizione si assuma”, sia comunque un valido stimolo per seguire percorsi di ricerca alternativi e innovativi proprio riguardo agli eventi tragici che sconvolsero l’Italia in quei primi mesi del 1921. Fu quella una fase “epocale” e davvero periodizzante, punto di arrivo ma anche inizio di un lungo ciclo psicosociale e politico novecentesco, che avrebbe trasformato il problema della verità in una lapidaria questione di potere.

Il volume contiene saggi e contributi di: Enrico Acciai, Francesco Bellacci, Paola Bertoncini, Lorenzo Bertucelli, Marco Betti, Giulio Bigozzi, Laura Bottai, Roberto Carocci, Mirco Carrattieri, Paul Corner, Fabio Degli Esposti, Pietro Di Paola, Fabio Fabbri, John Foot, Andrea Giaconi, Ivano Granata, Salvatore Mannino, Pietro Masiello, Iara Meloni, Luigi Nepi, Guido Panvini, Elena Papadia, Paolo Pezzino, Andrea Rapini, Giorgio Sacchetti, Antonio Senta, Emanuele Upini, Andrea Ventura, Rodolfo Vittori.

Il titolo, Piombo con piombo, vuole evocare un verso dell’Inno della rivolta (Luigi Molinari, 1893), canto libertario della tradizione popolare italiana che, nel corso del Novecento, è stato ripreso – con diverse varianti – sia nei ranghi del movimento operaio che di quello partigiano. Sempre con una evidente connessione tra violenza politica e motivazioni sociali.

(G.S.)

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